Innovazione sociale e sostenibilità al servizio dell'inclusione lavorativa

Nata nel 1996 a Locate di Triulzi, nel cuore del Parco Agricolo Sud Milano, la cooperativa sociale Il Giardinone da quasi trent’anni si adopera per favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Per conoscere un po’ più da vicino questa bella realtà lombarda, abbiamo incontrato Laura Gallo, presidente della cooperativa, che impiega 47 lavoratori, tra cui (circa il 40%) soggetti con disabilità, pazienti psichiatrici, ex detenuti e persone legate ad un percorso di recupero dalle dipendenze.
Presidente Gallo, di che cosa si occupa la vostra cooperativa?
Le nostre attività spaziano dalla manutenzione e progettazione del verde ai servizi di igiene urbana e pulizia, fino ai servizi cimiteriali. Siamo profondamente radicati nel territorio e collaboriamo in maniera integrata con le comunità locali e le istituzioni, con l’obiettivo di costruire percorsi di inclusione concreti e dignitosi.
In che senso, per riprendere le sue parole, “costruite percorsi di inclusione concreti e dignitosi”?
Nel senso che tutto parte dal nostro modello di inclusione lavorativa: noi non facciamo assistenza ma creiamo vere opportunità di lavoro per persone che altrimenti resterebbero escluse. Ogni nuovo inserimento è un piccolo successo collettivo. E dietro a ogni servizio che offriamo c’è una storia di riscatto, professionalità e impegno.
Oltre ai servizi “storici” di manutenzione del verde, pulizia e servizi cimiteriali, il nome de Il Giardinone si lega, da diversi anni, ad alcuni progetti innovativi di economia circolare. Ce ne vuole parlare?
Uno dei progetti più significativi riguarda il compostaggio collettivo automatico, che trasforma gli scarti alimentari delle mense scolastiche e aziendali in terriccio, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale della refezione collettiva. Il progetto ha avuto il sostegno della Fondazione Cariplo e, oggi, abbiamo un impianto pilota a Locate di Triulzi. Un’altra iniziativa importante, poi, è stata quella legata a Fungbox, un kit per coltivare funghi a partire dai fondi di caffè esausti: nata da una collaborazione con Lavazza, Novamont e partner francesi, in occasione di Expo 2015, è andata avanti per diversi anni, coinvolgendo lavoratori fragili in tutte le fasi di produzione. Da questa esperienza ha preso le mosse la nostra startup Coffeefrom, che si occupa di trasformare i fondi di caffè industriali in materiali “bio-based” e in nuovi prodotti: tazzine, oggetti di design, packaging. Un vero esempio di “upcycling” sociale.
È questo il vostro tratto distintivo? La capacità di saper coniugare impatto sociale, innovazione e sostenibilità?
Direi proprio di sì. Basta pensare ad un progetto ambientale di scala metropolitana come “Forestami”, che ci vede coinvolti, in vari Comuni, nelle piantumazioni e nella manutenzione. E potrei fare molti altri esempi. Lavoriamo da sempre per mettere la persona al centro ma attraverso un modello produttivo serio, competitivo e orientato alla qualità. In trent’anni abbiamo sviluppato una rete solida con interlocutori pubblici e privati, costruito filiere produttive capaci di generare valore sociale ed economico e investito costantemente nell’innovazione.
A proposito d’innovazione: come vede il futuro della “sua” cooperativa?
Il futuro de Il Giardinone lo immagino come una sorta di laboratorio permanente legato all’innovazione sociale, dove sostenibilità, inclusione e impresa si incontrano per generare cambiamento. Abbiamo superato la pandemia senza fermarci mai e, se guardiamo all’occupazione e al fatturato, siamo anche cresciuti. Continueremo a lavorare per rafforzare i nostri progetti di economia circolare, aumentare gli inserimenti lavorativi, sviluppare nuove collaborazioni con enti pubblici e privati e con il mondo della ricerca.
Il progetto europeo Small2big ha permesso a Cfi di finanziare la vostra cooperativa. Che benefici ne avete tratto?
Small2Big ci ha consentito di guardare in modo più strategico alla nostra crescita. Abbiamo potuto approfondire certi modelli di sviluppo sostenibile, migliorare le competenze manageriali e rafforzare la capacità di fare rete. Abbiamo consolidato la nostra identità d’impresa, imparato a raccontarci meglio e individuato nuovi percorsi di innovazione. In una fase di grande trasformazione, questo progetto è stato per noi uno strumento prezioso per dare ordine, visione e forza alle nostre idee.
John Stuart Mill ha detto: “Non c’è prova migliore del progresso di una civiltà che il progresso della cooperazione”. Che ne pensa? E che cosa significa per voi essere una cooperativa?
Penso che la frase di Mill contenga in sé una grande verità. Fare cooperazione, essere una cooperativa significa mettere al centro il valore del lavoro come diritto e strumento di dignità; significa costruire ogni giorno spazi di inclusione, non solo economica ma sociale, culturale e relazionale. La missione di una cooperativa come la nostra è chiara: progettare e realizzare percorsi di inserimento lavorativo per chi è più fragile, garantendo occupazione stabile, diritti, autonomia. Perché quello cooperativo è un modo di fare impresa diverso, basato su partecipazione, mutualità, trasparenza, condivisione dei risultati e responsabilità collettiva. È un’identità che ci guida in ogni scelta.