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La cooperativa Raviplast di Ravenna: un WBO che punta su sostenibilità e innovazione, anche per resistere alla crisi

FotografiaIntervista ad Alessandro Micelli, presidente di Raviplast, e Carlo Occhiali, ex amministratore delegato 

“C’è un errore fondamentale nel trattare la Terra come se fosse un’impresa in liquidazione”. Forse nessuno può comprendere le parole dell’economista americano Herman E. Daly meglio dei 24 soci lavoratori della cooperativa Raviplast, nata nel 2013 da un progetto di workers buyout. Sì, perché l’azienda di Ravenna, sostenuta anche da CFI, ha scelto di muoversi, fin dalla sua nascita, in una dimensione produttiva fortemente rivolta alla sostenibilità, pur in un settore come quello delle plastiche, spesso additato come nemico dell’ambiente. Di questa bella realtà romagnola, che nel 2022 ha raggiunto un fatturato pari a 7,6 milioni di euro, abbiamo parlato con Alessandro Micelli, presidente di Raviplast, e con Carlo Occhiali, già amministratore delegato della cooperativa.

Per iniziare questa breve chiacchierata, ci potete dire di cosa si occupa la Raviplast?
OCCHIALI: la nostra cooperativa opera nel settore degli imballaggi industriali flessibili in polietilene e si rivolge ad un mercato di utilizzatori professionali legati ai settori del pellet, dell’agro-industriale, dell’edilizia e del chimico. Abbiamo una struttura impiantistica che consente la trasformazione di materiali plastici attraverso le fasi di estrusione, stampa e saldatura. La gamma dei prodotti va, soltanto per citarne qualcuno, dai film e dai tubolari in polietilene per confezionatrici automatiche ai film termoretraibili, dai cappucci ai sacchi saldati, fino ad arrivare ai sacchi speciali a valvola. Molti di questi prodotti sono realizzati utilizzando materie prime rigenerate.

Facendo riferimento alla vostra produzione, quello di Raviplast ci sembra anche un approccio innovativo. È cosi?
MICELLI: sì, è proprio così. Basti pensare che quest’anno abbiamo avviato, in via sperimentale, una produzione di teli in bioplastica per l’agricoltura. L’iniziativa è nata grazie alla collaborazione con la Novamont, azienda leader nel settore delle bioplastiche. Le applicazioni riguardano la tecnica colturale che si definisce di pacciamatura, cioè la copertura del campo – soprattutto delle orticole – con teli che favoriscono ed accelerano la crescita delle piante, riducono gli infestanti e contengono le necessità di irrigazione. Oggi è diffuso in questo settore l’uso di teli in plastica tradizionale, che comporta il rischio di inquinare i terreni e prevede costi di smaltimento molto alti. Entrambe queste criticità possono essere superate grazie all’utilizzo di prodotti in bioplastica che si decompongono nel terreno senza alcun pericolo di inquinamento e che, addirittura, hanno un effetto fertilizzante, tenuto conto del fatto che la loro base è composta di amido. Inoltre, si produce un risparmio sui costi di raccolta e sul successivo smaltimento dei teli in polietilene. Noi puntiamo molto sullo sviluppo di questo prodotto, che porta con sé una forte impronta di sostenibilità.

In linea, direi, con le scelte che la cooperativa ha sempre fatto…
OCCHIALI: sì, è vero. Infatti, è da alcuni anni che la Raviplast ha ottenuto la certificazione legata al marchio Plastica Seconda Vita, riconosciuto a livello europeo, che contraddistingue i prodotti plastici ad alto contenuto di materia prima seconda, cioè riciclata. Il marchio garantisce la piena tracciabilità delle materie prime riciclate attraverso controlli rigorosissimi, relativi alla catena degli approvvigionamenti.

Qual è, secondo la vostra opinione, il punto di forza della Raviplast?
MICELLI: la nostra cooperativa si muove nel mercato degli imballaggi, maturo ed altamente competitivo, con una precisa identità legata ai prodotti realizzati (siamo specializzati nell’imballaggio primario…) e, soprattutto, alle scelte di sostenibilità. Abbiamo avviato le prime produzioni in bioplastica, non solo per testare un settore specifico quale quello dei teli da pacciamatura per l’agricoltura ma anche per sperimentare nuove produzioni nei settori storici, con l’obiettivo di affiancare al polietilene gli articoli in Mater Bi. Inoltre, se posso aggiungere ancora qualcosa, non consideriamo affatto la dimensione medio-piccola della nostra cooperativa come uno svantaggio ma come un punto di forza. Date le caratteristiche dei competitor, spesso il mercato non trova una risposta alle proprie esigenze, sia per quanto concerne le tempistiche (poca flessibilità dei grandi competitor), sia per quanto riguarda la qualità (produzioni improvvisate da parte di competitor con scarso livello di know-how): ebbene, noi siamo in grado di offrire ai clienti, anche grazie alla nostra dimensione, flessibilità, qualità e know-how.

Come state affrontando la crisi energetica?
OCCHIALI: come azienda trasformatrice di materia prima plastica, Raviplast è un’impresa energivora, in particolare per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, e perciò stiamo affrontando il tutto con una certa preoccupazione. Stiamo seguendo tre strade: un contratto di fornitura dell’energia elettrica a prezzo fisso che ci ha protetto dalle ingovernabili variazioni dei prezzi; un intervento su tutti i possibili risparmi energetici a rapida implementazione, che ci ha portato ad agire sui comportamenti e a fare leva su alcuni investimenti; la possibilità di realizzare un impianto fotovoltaico di dimensioni importanti.

Chi non pensa al futuro, non ne avrà uno, diceva John Galsworthy. Il futuro della Raviplast come lo vedete?
MICELLI: credo che per noi sarà particolarmente importante continuare a sviluppare le collaborazioni con il settore agro-industriale, dove è fortissima la presenza di organizzazioni cooperative di produttori e di trasformatori. Per quanto riguarda la produzione, anche in futuro continueremo a percorrere la strada già intrapresa, rivolgendo il nostro interesse ai prodotti  più consolidati – gli imballaggi – e al nascente settore dei teli per pacciamatura in Mater Bi.

Un’ultima domanda, per concludere. Che cosa significa per voi essere una cooperativa?
MICELLI: essere una cooperativa per noi ha voluto dire, innanzitutto, avere la possibilità di salvare posti di lavoro, con la piena consapevolezza che la trasformazione da lavoratore a socio richiede un processo progressivo che deve fare i conti con le modalità quotidiane del funzionamento di un’azienda, che richiedono un approccio collaborativo e partecipativo. Ma riteniamo che essere una cooperativa voglia dire anche fare parte di un movimento, segnato da forti elementi di idealità e di comunanza, in grado di produrre al suo interno grandi opportunità di collaborazione.

Andrea Bernardini