www.cfi.it
Home > News > MAURIZIO DE SANTIS racconta 40 anni di WBO intervista di Andrea Bernardini

MAURIZIO DE SANTIS racconta 40 anni di WBO intervista di Andrea Bernardini

FotografiaLo scorso 17 ottobre, durante l’Assemblea Nazionale delle Cooperative Industriali di Legacoop Produzione e Servizi, Maurizio De Santis ha passato il testimone, come nuovo responsabile delle Cooperative Industriali di Legacoop Produzione e Servizi, a Gianluca Verasani. Questo passaggio di consegne ha offerto l’occasione per una breve chiacchierata con Maurizio De Santis, in pensione dal primo ottobre, su una materia che conosce molto bene, quella dei Workers buyout.

Per cominciare, da quanto tempo si occupa di aziende rigenerate?
Negli anni Ottanta, da Presidente della Federcoop di Livorno, ho promosso e seguito la prima esperienza in Italia di Wbo, con la costituzione della cooperativa Ceramica Industriale Livorno, dopo la chiusura dello stabilimento livornese della Richard Ginori, storica fabbrica di produzione di grandi isolatori per le sottostazioni elettriche. Questa esperienza suggerì al ministro Giovanni Marcora la legge 49/85 che prese il suo nome. La legge, che fu promulgata nel 1985, dopo la scomparsa del ministro, si poneva l’obiettivo di aiutare i lavoratori dipendenti di imprese in crisi a rilevare le loro aziende, trasformandole in cooperative, a fronte della rinuncia all’utilizzo degli ammortizzatori sociali per alcuni anni. Nel corso del tempo, come responsabile regionale delle cooperative industriali di Legacoop Toscana Produzione e Lavoro, ho incrociato, specialmente dopo l’approvazione della legge Marcora e la costituzione di CFI, con cui collaboro dalla fondazione, numerosi casi di crisi aziendale ed ho promosso la costituzione di circa cinquanta nuove cooperative, sul territorio regionale, che hanno utilizzato la normativa. Molte di queste imprese sono ancora in vita, grazie all’evoluzione dei propri prodotti e all’entrata in nuovi mercati. L’esperienza toscana, la più rilevante tra gli anni Novanta e i primi anni del Duemila, ha trainato ed è stata d’esempio per lo sviluppo di questo tipo di iniziative, legate ai Wbo, in tutta Italia. Per farla breve, ho poi collaborato alla stesura del nuovo testo della Legge Marcora, che ha dato vita alla legge 57 del 2001, e nel 2006 ho assunto l’incarico di responsabile nazionale delle Cooperative Industriali di Legacoop Produzione e Servizi e delle attività di promozione di Wbo in tutta Italia; incarico che ho mantenuto fino al settembre 2018. In questa fase ho seguito la costituzione di numerosi Wbo, in particolar modo dopo l’inizio, nel 2008, della crisi economica che ha colpito il nostro Paese. Faccio ancora parte, infine, del Consiglio di Amministrazione di CFI e continuo a collaborare con l’Associazione Nazionale Produzione e Servizi di Legacoop per quanto riguarda le politiche di promozione dei Wbo.

Alla luce di questa sua grande esperienza, come giudica il fenomeno dei Workers buyout?
Le operazioni di Wbo hanno consentito di salvaguardare numerosi posti di lavoro, che avrebbero rischiato di essere cancellati nei territori di riferimento, mantenendo in funzione impianti, preservando competenze e mestieri e favorendo, in molti casi, evoluzioni industriali innovative e incrementi occupazionali. Per la prima volta, gli ammortizzatori sociali sono stati utilizzati come strumento di politica attiva del lavoro e non solo come strumenti di pura difesa del reddito.
Tutte le iniziative che hanno consentito la rigenerazione di imprese in crisi o fallite si sono caratterizzate, nella stragrande maggioranza dei casi, come operazioni di ristrutturazione aziendale per riavviare la medesima produzione, magari con accorgimenti migliorativi e per riconquistare i mercati tradizionali. Molto spesso, nei primi anni della nuova gestione, le motivazioni e la disponibilità ad un impegno maggiore dei soci lavoratori hanno consentito di far fronte alle difficoltà delle fasi di riavvio dell’impresa. Il successo, però, di molti Wbo è legato anche ad operazioni lungimiranti di riposizionamento strategico, all’avvio di un percorso di innovazione del processo e del prodotto e alla progressiva internazionalizzazione. Ciò ha permesso a molte cooperative, non solo di incrementare in modo significativo i livelli occupazionali, ma anche di superare quelle condizioni di potenziale difficoltà che si sarebbero potute ripresentare se le aziende fossero rimaste uguali a come erano durante il periodo di crisi.

I Wbo possono, allora, rappresentare un modello per lo sviluppo economico?
I Wbo, più che un modello per lo sviluppo economico, possono essere una risposta a certe tipologie di crisi della piccola e media impresa, che rappresentano pur sempre gran parte del tessuto produttivo italiano. La condizione essenziale è la presenza di una convinta e motivata disponibilità dei lavoratori a fare il salto di qualità da lavoratori dipendenti a soci lavoratori e, contemporaneamente, a soci imprenditori. Con tutte le conseguenze che questo comporta nel nuovo e diverso approccio rispetto alla propria azienda. Oltre che nei casi tipici di crisi, i Wbo possono rappresentare una soluzione praticabile ed efficiente riguardo alle problematiche riferite al passaggio generazionale nell’ambito delle imprese a conduzione familiare, dove la seconda o la terza generazione di imprenditori non è in grado di subentrare, per vari motivi, nella gestione aziendale. Abbiamo esperienze positive di percorsi di Wbo in situazioni di crisi di questo genere che, peraltro, si prevede aumenteranno molto nei prossimi anni.
Oltre a ciò, mi piace sottolineare come questo modello d’intervento sia riuscito a legare insieme la funzione economica e l’impegno civico e sociale. Questa duplice finalità è riconoscibile nelle operazioni di recupero delle imprese confiscate alla criminalità organizzata che spesso, senza un modello imprenditoriale quale quello cooperativo, rischiano di essere percepite, nonostante l’impegno dello Stato, come un impoverimento del tessuto economico e non come un’affermazione del principio di legalità.

Un’ultima domanda, per concludere. C’è un aspetto che, parlando di Wbo, secondo lei viene messo poco in risalto?
Quello che non sottolineiamo mai abbastanza e che spesso non viene percepito perché non conosciuto o comunicato nel modo corretto, è che le iniziative di Wbo sono operazioni complessivamente virtuose. Perché con questa forma d’intervento, lo Stato rientra dopo circa due anni delle finanze messe a disposizione attraverso la legge Marcora, grazie a varie forme e strumenti di risparmio, dimostrando come un intervento ben impostato inneschi un circuito virtuoso che non brucia ma, anzi, produce risorse.
Infine, appare evidente come il modello cooperativo si sia dimostrato particolarmente adatto e flessibile per intervenire in quelle situazioni dove il capitale privato sarebbe difficilmente intervenuto, perché non incoraggiato dalla modesta redditività; cosa che invece è compatibile con la struttura cooperativa che guarda alla creazione del reddito per retribuire, in primo luogo, il lavoro.
Ma è la dimensione sociale che fa dei Wbo cooperativi un fenomeno originale e particolarmente coesivo, perché la cooperazione, per sua natura, è legata indissolubilmente al territorio. Il patrimonio dell’azienda che si costruisce rimane un bene indivisibile e intergenerazionale, contribuendo ad unire la cooperativa alla sua realtà sociale e a ricostruire quella rete di fiducia che accompagna il nuovo imprenditore collettivo nei suoi sforzi.